Planimetria difforme da quella catastale? IL PRELIMINARE E’ NULLO e vi dev’essere RISARCIMENTO
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Planimetria difforme da quella catastale? IL PRELIMINARE E’ NULLO e vi dev’essere RISARCIMENTO

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Se lo stato dell’immobile è difforme da quanto riportato sulle piantine catastali, non si può giungere alla stipula del contratto definitivo e, pertanto, il preliminare stesso è nullo, comportando un diritto al risarcimento del danno nei confronti dell’acquirente.

Una difformità dello stato dei luoghi rispetto alle planimetrie e ai prospetti Catastali costituisce un illecito edilizio,  in quanto ogni immobile ha una legittimità urbanistica”, ossia un suo essere conforme a quanto stabilito dalla legge,  espressa da una licenza edilizia, concessione edilizia o permesso di costruire. E’ importante che lo stato di fatto sia conforme all’ultimo progetto edilizio presentato e protocollato dal Comune dove è sito l’immobile, nel caso contrario gli interventi effettuati e non conformi a quanto catastalmente riportato sono da considerarsi realizzati in maniera “abusiva o irregolare”, cioè non conformi alle leggi che disciplinano gli interventi edilizi, come stabilito dal T.U. DPR 380/2001. Tale irregolarità, qualora sia giudicata non sanabile ai sensi del medesimo DPR 380/2001, comporta la non commerciabilità del bene. Un esempio di irregolarità non sanabile è l’aumento di volumetria non preceduto da alcun permesso di costruire: in tal caso o il venditore mette in pristino (cioè demolisce) la parte abusiva, o l’immobile non sarà commerciabile.

Inoltre, secondo quanto sancito dall’ art.19 del Decreto Legge 31/05/2010 n° 78 viene introdotto l’obbligo, pena nullità dell’atto, della presenza di una dichiarazione di conformità dello stato di fatto con i dati catastali e le planimetrie. Ciò vale per tutti gli atti aventi forma di atti pubblici e scritture private relative al trasferimento di diritti di proprietà su beni immobili, la cui forma è necessaria e inderogabile (c.d. “ad substantiam actus) sia per le compravendite immobiliari, sia per le iscrizioni di ipoteca. Pertanto, qualora si sia in presenza di una simile mancanza, risulta impossibile giungere alla stipula del contratto definitivo, dato che il notaio, che è un pubblico ufficiale tenuto a controllare la regolarità degli atti che vengono svolti per mezzo del suo lavoro, non può soprassedere davanti a simili irregolarità e dovrà rifiutarsi di stipulare l’atto, invitando le parti a porvi rimedio (qualora possibile).

Qualora, poi, fosse posta all’interno del preliminare la clausola per cui l’immobile venga dichiarato espressamente conforme alla normativa urbanistica vigente, in ragione di ciò il venditore che  ha nascosto la reale situazione di abusivismo in essere, , si renderebbe responsabile di una violazione delle regole di buona fede, essenziali per la conclusione del contratto, legittimando l’acquirente a ricevere un risarcimento. Ciò perché la clausola di conformità alla normativa urbanistica altro non è che una autodichiarazione, sottoposta a responsabilità di chi la effettua. Pertanto l’apposizione di una autodichiarazione in una situazione in cui il venditore sia consapevole della falsità della stessa (quindi, dell’irregolarità del cespite), significa che lo stesso abbia violato con artifizi e raggiri la buona fede dell’acquirente e   sfruttato in maniera illecita quello che nel diritto si suole chiamare il “legittimo affidamento” che il medesimo acquirente pone nella bontà della trattativa e della regolarità dell’affare che gli viene proposto.

Tale risarcimento è dovuto dal venditore, poiché, conformemente agli artt. 1476 e 1479 cod. civ., nonché al contratto preliminare, il venditore che dichiara che l’immobile è conforme alle normative urbanistiche vigenti è tenuto, in virtù del principio di buona fede contenuto all’art. 1479 c.c., a mettere in vendita un bene che effettivamente risponda a tali requisiti di legittimità e conformità.

Il risarcimento è composto dal doppio della somma versata all’atto del preliminare, nota anche come  caparra confirmatoria, secondo quanto stabilito dall’articolo 1385 cod. civ., nonché, sempre secondo tale articolo, dalla perdita subita dall’acquirente riferita a quello che è stato il mancato guadagno (composto, ad esempio, dalle giornate lavorative perse per visionare l’immobile, effettuare le trattative ecc.),  purchè sia conseguenza immediata e diretta di quello che è il grave inadempimento effettuato dalla parte venditrice. Si noti bene che, però, per chiedere tale risarcimento, come confermato dall’articolo 1385 del codice civile, è comunque necessario chiedere la risoluzione del contratto preliminare.

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